Cazzo Ci Faccio Qui

Vi è mai capitato, durante un viaggio, di trovarvi in situazioni da voi provocate e dire:

“ma che cazzo sto facendo qua?””

A me capita regolarmente, non so per quale motivo, probabilmente la mia ingenuità o coglionaggine, chiamatela come volete, fatto sta che nel mio ultimo surf & knowledge trip mi sono capitate cose stranissime.

Situazione 1

Sri Lanka

Odio i medici, gli ospedali, le usl, le mutue, ma soprattutto i dentisti. Per cui mi trovo regolarmente ad aver bisogno di medici in luoghi dove un camice veramente bianco è un’utopia.

Il mio trip inizia in Sri Lanka dove tra le sfighe varie mi si rompe un pezzo di dente devitalizzato. Ogni volta che ho dei problemi mi rivolgo a Diksan uno dei miei migliori amici a Ceylon.

Così vado da Diksan il quale mi porta dal dentista di fiducia degli hikka boyz il noto dottor Chandasiri di Ambalangoda, famoso in tutto il distretto di Galle per la sua professionalità.

Dopo un estenuante fila di gente che sputa sofferente in un fazzoletto, il dentist mi riceve, mi guarda in bocca facendo luce con una torcia al cherosene, mi fa sedere sotto uno strumento di ferro arrugginito curvilineo e mi raggia, osserva la lastrina e decide cosè di curarmi.

Chanda inizia a parlarmi di materiali tecnologici che io non conosco, la famosa ceramica di Ratnaphura, la resina di Colombo e il plasticone di Kalutara, mi chiede di sceglierne uno ed io opto per il plasticone.

Il doc. inizia il suo lavoro, razza in un contenitore di ferro pieno di cianfrusaglie e tira fuori una specie di bisturi atto a creare le condizioni igeniche per infilarmi il perno, fa un buco con un trapanino del traforo e mi avvita il perno con un piccolo cacciavite standard.

A questo punto Chanda fa preparare la mista alla sua assistente che si presenta, dopo 5’, con una tazzina da caffè piena di roba marrone della consistenza del dentifricio, il lavoro di ricostruzione inizia.

I miei interrogativi sull’ affidabilità di Chanda aumentano man mano che il doc. sfoggia strumenti dentistici mai visti prima, ma l’apoteosi delle mie preoccupazioni si raggiunge quando mi infila in bocca una specie di pistola del futuro tipo quelle di tom & jerry nello spazio con il radar davanti e dalla quale esce un raggio blu-viola postnucleare che serve a far catalizzare il plasticone.

Passati 25’ il doc. mi dice:

“Ho finito.”

Incredulo chiedo uno specchio, notando l’esistenza di un bellissimo dente perfettamente uguale agli altri.

Attualmente il dente, pagato 2000 Rs(50.000£), continua ad essere perfetto ed io amo pensare che le condizioni igieniche fossero quelle dovute!

Situazione 2

Sri Lanka

Una mattina mi sveglio per andare a surfare, guardo fuori dalla finestra notando che le onde spaccano.

Piè prendo onde e piè la fotta sale fino a quando, di fronte a un closautone, jumpo fuori dimenticando che il mio nuovo leash è 50cm, volo giù dal cielo a testa in basso, ignaro, atterrando col cranio perfettamente nel baricentro della tavola sul longherone.

Appena esco con la testa dall’acqua mi accorgo che tutto quello che c’è intorno a me ha assunto un colore verdino acido, continuo a surfare in una condizione psicofisica di trascendente reminiscenza, sono completamente in acido e ricordi della mia piè remota infanzia iniziano a mescolarsi con il presente.

Dopo 3h esco dall’acqua, mi dirigo verso la cabana ed, on the way, rivedo un mio amico inglese di vecchia data, lo saluto chiamandolo Antonio, si chiama Joe ed io ho perso la memoria!

Pian piano mi riprendo psicologicamente, ma continuo ad avvertire un forte dolore alla clavicola, preoccupato mi rivolgo a Diksan facendomi consigliare un massaggitore ayurvedico.

Diksan sembra strano e mi da informazioni vaghe, sembra non voglia portarmi, trova continuamente degli impegni inverosimili.

Finalmente dopo 3gg di sofferenze atroci mi porta in questa apparente clinica di massaggi ayurvedici. Entro in una saletta d’aspetto nella quale sono sedute 5 ragazze singalesi in decolletè e Duty un amico mio locale, lo saluto calorosamente ma lui sembra piuttosto imbarazzato, mi siedo e vedo che tutti mi guardano in modo strano, io non capisco.

Ad un certo punto una delle ragazze dice qualcosa in singalese, Duty mi dice:

“Devi sceglierne una!”

Io gli rispondo che non fa differenza.

Mi affidano la piè bruttina la quale mi conduce in una stanzetta dalla quale esce un singalese tirandosi su le braghe, mi sembra di conoscerlo e gli chiedo:

“Good one?”

Lui non mi risponde, sembra offeso.

Mi sdraio sul lettino e la tipa inizia a farmi domande strane alle quali do risposte che le fanno capire che sono un coglione che vuole un massaggio.

Inizia a massaggiarmi con le sue manine che sono ruvide come il grip tape, cerca di eliminare gli attriti con uno speciale olio che puzza di rancido.

Finito il servizio vado dalla superiore e le pago 500 Rs. Il dolore si è duplicato!

Uscito dalla clinica vedo Siri un mio amico locale il quale mi domanda sogghignando:

“Did you get a good blow job?”

“What you fuckin’ sayn’ man?”

gli rispondo…

“Not enough your girlfriend?”

mi chiede ridendo…

“Fuck you man! I got just a massage!”

“Oh! now they call it massage!”  

“Don’t kid me Siri, it’s the truth!”

Probabilmente, dopo 7 volte a Hikka, ero l’unico a non sapere che le cliniche per massaggi sono solitamente bordelli d’alto borgo locale!

Situazione 3

Goa

Dopo aver passato gennaio e metè febbraio a Sri Lanka decido di andare nel sud dell’india. Nel Kerala è stato, per la prima volta in India, eletto liberamente un governo comunista nel 57.

Qui la ricchezza è distribuita più equamente che nel resto dell’India e nonostante non sia molto sviluppato economicamente vi è il più alto tasso di scolarizzazione (90%) ed il piè basso di mortalità.

Il landscape è semplicemente meraviglioso, dominato da risaie, lagune, manghi, anacardi, piantagioni di cocchi e fitte foreste tropicali.

La catena dei Gathi occidentali scende lentamente di pendenza appiattendosi di fronte al cristallino mare delle Laccadive.

La gente è piuttosto emancipata e le vibrazioni sono decisamente positive. Da Trivandrum (Thiruvanan-thapuram) mi sposto a Goa in treno attraversando il Kerala e il Karnataka, spendo gran parte delle 20 ore che trascorro nella carrozza osservando la vita rurale degli indiani che vivono lungo i binari sui quali il treno scorre lentamente.

Il vetro giallo del mio finestrino distorce i colori a predominanza rossa e verde in una tonalità giallo-nera conferendo alle mie visioni un carattere estremamente “indiano”. Finalmente arrivo a Goa dove il mio obiettivo sarà quello di scattare delle foto al “flea market di Anjuna”.

Da Margao prendo un taxi verso Vagator. Scendo e sono fottutamente stanco, ho bisogno di dormire, cammino per le strade di little Vagator carico di tre tavole da surf, attrezzatura fotografica e zainetto.

I raveroni mi guardano come fossi un extraterrestre ed in nessuno di loro intravvedo un barlume di solidarietà, è la prima volta nella mia vita in cui mi sento veramente solo.

Le guest houses sono tutte al completo ed io sto svanendo lentamente in un bagno di sudore. Finalmente trovo un posto che mostra un’insegna che dice:

“Rooms Available Here”.

Il proprietario è un giovane indiano che gentilmente mi accompagna a vedere le camere. Oltrepassata una porta che conduce ad un cortile interno con piscina attorno al quale sono disposte le camere.

Mi accorgo di essere entrato in uno di quegli spazi temporali che ti cambiano la vita: la musica pompa la goa-trance a busso e la piscina è circondata da raveroni israeliani, tutti con gli anfibi ed un sorriso ignorante stampato sui loro volti fottuti da 3 anni di servizio militare.

Guardo il giovane indiano e gli domando sconcertato:

“What am i fuckin’ doin’ here?”

Non so per quale motivo ma il proprietario sembra capirmi al volo e mi risponde:

“This is not India man, this is not India.”

Mentre pronuncia queste parole gli brillano gli occhi,

“I am looking for something different.”

gli rispondo

“I am looking for indian culture.”

I must go somewhere else!

Situazione 4

Andamans Islands

Sono a Port Blair, capitale, circondato da mangrovie, eucaliptus e fiori di ibiscus, + che in India mi sembra di essere a Sumatra.

Le Andamane erano un ex colonia penale dove i condannati a morte che lottarono per l’indipendenza venivano rinchiusi nella famigerata “cellular jail”.

Le popolazioni indigene sono state vittime della costante colonizzazione indiana ed inglese ed attualmente costituiscono - del 10% della popolazine dell’isola.

Sono rinchiusi in riserve, e gli Onge, i Jarawas ed i Sentineli sono praticamente inavvicinabili per il loro giustificato violento rancore verso l’uomo bianco e l’uomo indiano che hanno distrutto i loro meccanismi tribali.

Per quanto riguarda gli Andamani, gli Shompen ed i Nicobari, essi sono parzialmente integrati in una società che non condividono.

Per questi motivi molte delle isole sono off-limits ma forse la vera ragione che impedisce di raggiungere gli atolli è la presenza di basi militari russe e indiane con armamenti nucleari sino dagli anni della guerra fredda.

Le Andamane e le Nicobare sono + di 300 isole in mezzo all’oceano indiano, sono considerate tra le+belle del mondo, ed è terribilmente frustrante essere in un posto meraviglioso e non poterlo visitare.

Qui a Port Blair ci sono due giornalisti di Panorama mega imbazzati con l’ambasciata indiana i quali cercano di ottenere i permessi per visitare le isole off-limits, naturalmente non ci riescono, dicono che è praticamente impossibile.

Niente ferma un giornalista freestyler di Freezer, detto fatto in 2h ottengo tutti i permessi necessari, mi costano qualche migliaio di Rs indiane ed il pescatore di nome Balla sembra conoscere queste acque meglio di qualsiasi altro.

Tutto ciò è illegale, ma la legalità è spesso solamente un parametro, specialmente se la stabilisce un popolo colonizzatore.

A questo punto l’unica cosa che mi manca è una semplicissima tabella delle maree, sarà facile ottenerla in una città di porto, ma è proprio qui che inizia l’incubo.

Il proprietario della guest house mi indica il Water-Sports Complex, ma qui nessuno sa assolutamente cosa sia una tide chart; così al porto, esattamente al molo 7, dove una specie di impiegato mi manda al Marina office, qui mi rimandano al molo 7 e poi daccapo.

Un militare di bassa statura mi consiglia di andare a Haddo e di rivolgermi all’ head officer ma nessuno sa nulla della tide chart.

Sto letteralmente impazzendo, non riesco a spiegarmi come in una città di porto nessuno abbia bisogno di una tabella delle maree.

Abituato a godere dei privilegi del turista ti accorgi di quanto sia difficile essere indiano e vivere la vita di chi è fottutamente povero, e capisci che spesso i “viaggiatori” sono semplicemente dei turisti che quando si trovano nella merda sfoggiano la loro luccicante visa card.

Qui il turismo di massa non è ancora arrivato e per questo nessuno ti considera come un turista, i privilegi te li devi conquistare e se ti lamentavi che da altre parti la gente ti voleva vendere di tutto qui ti lamenterai che la gente fa fatica a salutarti. D’altra parte a Milano tu non saluti il primo che incontri per la strada.

Fatto sta che dopo 2gg non ho ancora trovato la tabella delle maree. Un certo Mr Pawar mi consiglia di andare al “meteorological office” che si trova ad Haddo, ma ad Haddo mi dicono che il met office si è spostato alla Phoenix bay.

“Sto cercando il met office”

dico ad un militare, lui mi risponde che è da un altra parte ma non riesco a capire le sue indicazioni.

Giro per Port Blair fino a quando non capito di fronte ad una collinetta rinsecchita sulla quale un piccolo edificio, apparentemente disabitato senza porte ne vetri, mostra un insegna

“METEOROLOGICAL OFFICE”.

Ringrazio tutte le divinità hindu e mi addentro nelle rovine a vedere se effettivamente qualcuno ci lavora.

Un indiano di mezza età molto distinto mi accoglie nel suo “ufficio”, mi fa sedere e dice che è a mia disposizione.

Persona estremamente gentile, tono rilassante e gli innumerevoli strumenti meteorologici, risalenti alla first world war, che mi circondano attirano la mia attenzione.

Vedendomi interessato, inizia a spiegarmi il funzionamento dei vari igrometri, barografi, etc.

Gli sono molto grato, ma una voce che risuona mi dice:

“Emi, che cazzo stai facendo nell’ufficio meteo su un isola dispersa nel mezzo del golfo del Bengala?”

Sono un viaggiatore e questo è il mio “karma!”

“Life is pain, but good karma anyway!”