Malaria

A Sri Lanka non c’è la malaria! Ho la febbre alta che da picchi di 42°C scende a 34-33°C e poi sale ancora.

Le ghiandole inguinali sono grandi come delle noci, sono triste e depresso, ma la sicurezza che non ho la malaria mi da la forza per continuare.

Per dare un senso alla mia giornata cerco di trovare un occupazione. Provo a dormire.

Il mio letto é situato esattamente nell’ epicentro della zona più umida di tutta la baia, l’aria ne ha per i maroni di circolare.

Qui le mosche hanno trovato un micro-clima che le porta a riprodursi ferocemente, il letto di Nik ne ospita migliaia. Opto per l’amaca.

L’amaca è appesa a due alberi e dalle chiome che sembrano nuvoloni verdi iniziano a piovere centinaia di enormi formiche rosse.

Torno a letto, mi mummifico completamente di vestiti che puzzano di rancido. Inizio a sudare violentemente e mi manca pure il respiro. Combattuto sul da farsi mi siedo sotto la veranda e cerco di fare di una partita che si sta svolgendo sulla spiaggia, tra i figli dei pescatori, una ragione della mia vita.

Mi addormento sulla sedia, Sogno di essere uno dei meschini personaggi di Dostoevskij, uno di quegli uomini esclusi dal consorzio sociale e ripiegati su se stessi.

Da zero a cento sono un pestilente in punto di morte trascinato per la promenade da due monatti. D’improvviso delle forti urla mi svegliano.

I bambini che giocavano a cricket sono corsi a vedere cosa sta succedendo. Appena sveglio, più che me stesso, mi sento un emarginato pestilente.

Ciò nonostante mi dirigo nel luogo di provenienza delle urla. Ci sono tutti: Mama, Papa, Nilanti, Lalla, Ianita ed Agit.

Gli abitanti del villaggio si sono disposti in cerchio all’interno del quale un omerico vecchio pazzo mena le mani a moglie e figlie.

Sembra che tiri delle blasfeme madonne in singalese. Io che sto vivendo il trippi trik più assurdo della mia vita, chiamo da parte Papa e gli domando:

“Papa, Papa what’s happening ?”

Lui mi risponde con aria tra il solenne e l’intellettuale:

“Too many sick, too many hospital!”

Al che il mio viaggio psichedelico assume caratteri fortemente trascendentali.

Ritorno in me stesso, la sentenza di Papa non è sufficiente, decido di approfondire le indagini. Mi rivolgo così al pescatore, che e portavoce di famiglia, Agit.

“What’s wrong Agit?”

“Too many sick, too many medicine, malaria, sometimes crazy !”

Malaria? Ha proprio detto malaria?

Intanto nel mio cervello iniziano canti di fanciulli il cui tema centrale è appunto la malaria. Rabbrividisco al pensiero che il mio vicino di casa sia malarico. Rassegnato all’idea attendo il ritorno dei miei amici dalla surf session pomeridiana.

A Riki che si dimostra il più disponibile ed il più materno chiedo:

“Riki, ascolta, ho la malaria, potresti andare alla “farmacia” del villaggio a vedere se hanno qualcosa per me?”

Riki, schiavo del coprifuoco che coincide con il tramonto, parte come un razzo guidato da Raslim ed il suo tuc-tuc.

Dopo circa mezzora torna con un cartoccio di carta da giornale contenente un pugno di simil zigulì al limone.

Titubante mi informo sull’ efficaci del farmaco. Lo guardo poi lo annuso cercando di distinguere un odore che avrei potuto catalogare come clorochina.

Impossibile! Fiducioso mi informo sulla posologia. Davide che sembra essere un esperto in materia mi consiglia di ingerirne 3-4 ogni 3 ore a stomaco vuoto.

Prima di andare a letto, sempre Davide, mi obbliga ad accendere un cilum e mi dice che non può fa’ altro chebbène! Dormo sogni beati, sogno di essere un medico in prima linea, curo lebbrosi ed affetti da ebola, sono soddisfatto della mia missione.

Come tutte le albe Nik mi tira in faccia i suoi tappi per orecchie, creati da pezzetti di cartigenica masticata, così svegliandomi.

Mi sento un leone, sento di non avere più la febbre, le zigulì devono aver fatto effetto.

Sono sano, è ora di andare in acqua!