Original Title:
Venezia, la biennale di Marco Spruzzone
Ero a Venezia a vedere la Biennale d’arte.
Non so se qualcuno l’abbia mai fatto da solo, ma sarebbe potuta risultargli dura. quindi rispolverando il bambino che é in me e riciclandomi un po’ come artista-installatore sono entrato in una tabaccheria e, insieme ad un regalino per un’amica, mi sono fatto dare un alberello con piedistallo alto circa 7cm, made in Hong Kong, prodotto in serie in una splendida plastica verde trasparente.
Ero soddisfatto, avevo trovato il mio lavoro da esporre alla Biennale, il gioco che mi avrebbe fatto passare una giornata altrimenti interminabile. Cosí sono andato all’importante mostra, ho esposto il mio lavoro e poi l’ho presentato singolarmente ad alcune persone che mi sembravano particolarmente indicate. Il successo é stata un automatica conseguenza.
Un tempo la maggior parte del lavoro dell’artista era nello studio, dallo studio é passata alla realizzazione e oggi, nella nostra “mitica” era, uno dei passaggi fondamentali é l’esposizione, la messa in mostra, la commercializzazione.
Non voglio discutere sull’importanza dell’esposizione, ma sono certo che i primi due punti siano mi piú ricchi di interesse artistico e conoscitivo.
Molti oggi tendono a guardare un lavoro artistico finito senza pensare troppo allo studio, alla realizzazione e alla dedizione dell’artista, tutte cose racchiuse in un lavoro.
Spesso ci si limita a godere semplicemente dell’impatto estetico che un lavoro ha in un determinato contesto espositivo, allora un oggetto senza alcuna pretesa artistica potrebbe stagliarsi bene nel contesto di una mostra internazionale, dove il turista dell’arte é pronto ad acchiappare ogni spunto e considerarlo arte.
Lo vediamo che si aggira per mostre o gallerie ben attento a non oltrepassare linee immaginarie, a non toccare maniglie, a non aprire porte, che potrebbero tutte essere inconsuete opere d’arte criptate, protette da allarmi pronti a suonare.
Io faccio fotografie.
La parte piú dura é scegliere il lavoro che voglio fare nell’infinita sequenza di immagini pittoriche che é il mondo.
Per me fare una foto del figlio del mio pusher per poi regarargliela o un’installazione con luci, colori e proiezioni, densa di significati stanchi, mi occupa il cervello allo stesso modo anche se nel primo caso la realizzazine del lavoro é piú veloce.
Se poi esponessi i due lavori sono sicuro che il secondo avrebbe piú successo. 1 perché é piú grande, 2 perché il lavoro (fisico!) é o sembra maggiore, 3 perché nessuno si puó nemmeno fottutamente immaginare cosa uno pensi mentre fa qualcosa.
Marco Spruzzone vive e lavora a Berlino.