Cuba

Sarò superstiziosa ma, per quanto mi riguarda un viaggio mostra le sue future caratteristiche già dalla partenza.

Salire quindi su un aereo della Cubana Airlines, con le pareti interne ricoperte di plastica adesiva finto legno e con i posti a sedere con lo schienale pieghevole, in avanti tipo sedia da picnic, fa capire che lo spirito giusto per godere la vacanza è adattarsi.

I racconti su quest’isola, immagazzinati nel periodo precedente la partenza, parlavano chiaro.

Cuba è un paese che sta passando una difficilissima fase.

Fame, malattie, boicottaggi economici si legge nelle notizie dei media.

Ma io sono come San Tommaso, voglio vedere per capire e sento proprio che ce ne saranno di cose interessanti da scoprire.

Intanto già al passare dello steward sull’aereo mi sento sciogliere dalla tenerezza: il vassoio che ci porge, molto educatamente, quasi con orgoglio, contiene una cinquantina di caramelle gialle, rosse, blu.

Ed è con la stessa volontà di resistere che nei giorni a venire vedrò donne meravigliose indossare capi anni ’50 originali, stinti e obsoleti, con la stessa elegante dignità con cui la Schiffer indossa Armani; o medici difendere gli ultimi residui di un centro di pronto intervento senza l’ombra di un farmaco da utilizzare.

Santiago de Cuba, che si trova all’estremo sud-est, è la mia prima tappa e, fortuna vuole, proprio nel periodo del Carnevale che la rende ancora più animata del solito.

Dormiamo in un Hotel perché ancora nessuno ci ha parlato delle “casas particular” (sono abitazioni di privati che affittano a prezzi stracciati - 2\4 $ nel nostro caso) sfidando i controlli della polizia e rischiando altissime ammende.

Comunque nonostante la “misma” forzata condivisione della stanza con enormi scarafaggi rossastri, velocissimi e lucidissimi, le due situazioni abitative non hanno altre similitudini.

Gli Hotel delle città, come il resto dell’architettura “grossa”, risalgono all’epoca pre-rivoluzione, quindi il paese era dominio degli avidi spagnoli.

Sono imponenti e sfarzosi edifici con mega scalinate, antri decorati, arcate eccetera.

Attraversare le vie del centro, a Santiago come nell’Havana, fa strano.

Sembra di andare indietro nel tempo e il continuo passaggio di macchine anni ’50 color pastello, complete la visione.

I guidatori cubani sembrano meccanici esperti: smontano e rimontano le scoppiettanti macchine fantasma facendole ripartire come nuove.

Non è difficile fare questo tipo di esperienza, ad esempio rimanere fermi dopo una discesa fatta a motore spento.

I taxi e le altre poche vetture usano benzina, presa al mercato nero, sporca, piena di sassolini, cosine, boh! (il carburante è scarso sull’isola).

Invece le abitazioni sono pulite, graziose, accoglienti anche nel caso delle “paladocres”, posti privati dove (20 coperti al massimo) si mangiano megacene cucinate dal tipo della casa.

Riso e fagioli (blanco & negro), pesce, verdure varie.

A questo tipo di mangime non moltissime alternative.

Il rapido è il mitico fast-food all’ aperto.

1 $ = patatine e pollo fritto o pierro caliente alias cane caldo, cioè hot dog.

Da bere c’è il “refriesco nacional”: bibite tipo Milan Cola per capirsi; la mia preferita è il Cachito Lemon! Poi c’è il Rum e si beve in posti tipo hosteria o alla famosissima “boteguita del medio”, nel centro dell’ Havana.

Si gusta con foglie di menta nel tipico cocktail Mohito, very famous all over the world grazie a Hemingway.

Ma cibarsi così, in giro, per strada non mi è sembrato molto easy.

Ci sono le tiendas, strani shops che vendono un po’ di tutto, dal burro alle lenzuola, ma solo e rigorosamente in valuta U$.

Fuori dal negozio di solito si formano lunghe code e spesso per entrare bisogna mostrare i dollari.

Poi ci sono bancarelle di cibo per locals, in pesos, mangi pizza, ovvero una base fritta con su formaggio tipo capra oppure, per chi mangia carne, hamburger tesi che comunque invogliano a diventare veggie.

Ah, dimenticavo, i cubani comprano utilizzando la “libreta”. Non c’è scambio di soldi per avere i beni di prima necessità, basta mostrare una specie di libretto postale con segnate le varie quantità assegnate al singolo o alla famiglia.

Ma sono purtroppo dati quantitativi così minimi, irrisori se visti con un’ottica occidentale.

E così la maggior parte della gente cerca di guadagnare dollari americani per comprare benzina o i prodotti nelle tiendas.

L’ improvviso abbandono da parte delle superpotenze comuniste, URSS e Cina e il blocco assassino degli USA ha fatto crollare completamente l’economia.

Cuba produceva e lavorava per esempio la canna da zucchero con macchinari sovietici, il riso così tanto consumato da diventare piatto nazionale veniva spedito dalla Cina come sostegno.

Le importazioni e le esportazioni sono state congelate dal boicottaggio degli USA e da essi imposto al resto delle nazioni.

Il museo della Rivoluzione all’Havana chiarisce molto le idee sulla storia di questo popolo misto.

Ed anche le parole delle persone che si sfogano volentieri seppur un po’ di nascosto.

E’ facile comunicare.

Anche se parli con gente poverissima, viaggiano su livelli culturali molto alti.

L’università e le scuole superiori sono “direi” obbligatorie.

Ognuno ha la possibilità e gli stimoli di sviluppare le proprie conoscenze.

E’ bello vedere che la grand parte della gente ha scelto studi culturali e artistici e, nonostante il “bloqueo”, puoi trovare ragazzi informatissimi anche su argomenti iper attuali (conoscono da Giovanotti a Decoder).

Quasi tutti sembrano rispettosi nel confronti di Fidel Castro.

Ma ora quasi tutti dicono che per Fidel è ora di mettersi da parte o di trovare modi nuovi.

Spesso è lo sconforto che fa parlare in questo modo oppure la voglia di essere come i nuovi modelli proposti dalle tv via cable.

Ma alle volte, e questo è il caso di molti afro cubani, è la ribellione ad una cultura dominante che ha schiacciato la propria.

La parte nera della popolazione è quella che sicuramente ha sofferto di più per le restrizioni ideologiche del comunismo, parte delle radici afro sono state nascoste o represse, per venire fuori ora più forti che mai.

Si dice che la più grande opposizione interna è il movimento della SANTERIA.

Si tratta di un sincretismo religioso che unisce la più recente fede cattolica con i credi e le divinità ancestrali africane.

I suoi misteriosi rituali sanno di Africa nera, tamburi che ritmano preghiere e dee e dei stupendi, decorati da perline colorate, paralleli dei ns santi.

Per saperne di più all’Havana c’è la Casa De Africa, teoricamente il museo africano ma in realtà molto, molto di più.

Sicuramente altro c’è da dire, il More, l’interno dell’isola… ah la musica. Rumba e Samba soprattutto.

La ascolti ovunque, vecchie giovani la suonano in piccole orchestrine ad ogni angolo di strada.

Il reggae è adorato ma anche di dischi c’è una vera scarsità.

Una notte sono entrata in un palazzone tipo warehouse trasformato in dancehall da due lucine colorate appese all’alto soffitto.

I DJs alternavano i dischi suonati dall’unico piatto con pezzi suonati dalla radio.

Il mito dei miti: La selezione da Laura Pausini in spagnolo a Bob Marley, per toccare l’apice del coinvolgimento generale con GiocaJouer ( chi se lo ricorda? Ballare, mangiare… autostop!!??!)

Inutile dire, che in veste d’italiana, sono stata ritenuta un’esperta dell’ignorante ballo mimato.

Ma come ho già detto: ADATTAMENTO IS THE KEY OF PLEASURE.