A Scuola al Tropico

A Scuola Di Cucito In Un Villaggio Di Pescatori Al Tropico

Mi trovo ad Arugam Bay, con Emi, per un surf trip in Sri Lanka.

Lui surfa continuamente ed io ho tutto il tempo libero che voglio, ma qui non c’è assolutamente niente da fare se non fai surf o bodyboard.

In pochi giorni ho stretto amicizia con le figlie della famiglia Siripala.

Puntualmente mi affidano qualche mansione per farmi sentire parte della famiglia, mi hanno quasi adottata: mi insegnano come ci si deve muovere, come acconciare i capelli, come vestire (ovviamente la gonna deve toccare le caviglie).

Il compito più faticoso consiste nell’accompagnare Nilanti e Ianita nella Jungle per prelevare acqua fresca dal magico pozzo, considerata “potabile” dai locali.

Le brocche di alluminio pesano un quintale e alle tre del pomeriggio, con tanto di vestito lungo e accollato, il tutto diventa molto più difficile.

E’ sabato e, sveglia all’alba come ogni giorno, mi guardo intorno per salutare la “mia” famiglia, ma Nilanti e Lalle non ci sono.

Le vedo arrivare nel primo pomeriggio con un paio di forbici e un quaderno su cui sono applicati dei pezzetti di stoffa ricamati. Ho capito tutto, ad Arugam Bay c’èuna scuola di cucito!

Tutta presa dall’emozione di apprendere l’arte del cucito, prego Nilanti di portarmi con lei il sabato successivo.

Finalmente è sabato e mi presento con un saron lungo fino ai piedi e una maglietta accollata. Nilanti inorridisce:

No good, no good

mi dice (una delle poche parole di inglese che conosce).

Non capisco cos’è che non va e lei mi fa notare che il sarong è un abito esclusivamente maschile, e sono costretta a cambiarmi, con gran entusiasmo delle mie nuove amiche che iniziano ad occuparsi di me come se fossi la loro bambola preferita.

Eccomi qui: due treccine accuratamente annodate con un fiocchetto rosso e un grazioso vestito azzurro con piccoli fiorellini bianchi, lungo fino ai piedi.

Poi quaderno e matita per gli appunti riposti in una sportina di plastica.

Sono a scuola, un edificio in muratura con il tetto molto alto e le pareti di un metro e mezzo al massimo per rendere l’ambiente più aperto possibile, rigorosamente nella jungle.

La mia presenza onora le mie nuove compagne e soprattutto la maestra, che ha i capelli untissimi come tutte le maestre che ho avuto in passato.

Nessuno sa l’inglese, giusto quelle 2/3 parole per presentarci e ridere insieme, ma qui le parole non contano, i nostri occhi neri, i nostri sguardi reciproci, spiegano ogni cosa.

Il rapporto tra la maestra e le alunne è di assoluta confidenza, quasi di complicità, non c’è invidia nè competizione tra le mie compagne.

E ora tocca a me: sono di fianco alla maestra, seduta davanti alla lavagna (esiste anche qui!) e, senza conoscere nessuna lingua se non il singalese, riesce a spiegarmi il compito di cucito che avrei dovuto svolgere per il sabato successivo.

Svolgerò il compito con estrema diligenza. La settimana è quasi finita quando Nilanti mi dice:

Party!.

Io non capisco e le chiedo

Which party?

e lei risponde

School!

Mi hanno invitato ad una festa di classe, sabato. Sono contentissima, ora mi sento una di loro! Nilanti oggi è bellissima, vestitino nero fiorato e ciabattine dorate, i capelli sono raccolti da un enorme fermaglio. Io col mio solito vestito azzurro (è di Nilanti) e i capelli acconciati in un’unica treccia, c’è anche Lalle in bianco, è così candida.

Il party consiste nel preparare un enorme risotto ai vegetali per poi pranzare tutte insieme. Sono emozionatissima. Dopo 5 ore il risotto sembra essere pronto, lo stomaco brontola già da 2ore.

Affamatissima assaporo già il mio vegetable fried rice nel piatto, ma non vedo i piatti!

Solo questa enorme pentola che viene tolta dal fuoco, e le ragazze che borbottano qualcosa tra loro.

Ce ne stiamo andando e per di più con il riso!

No, non resisterò.

Dobbiamo addentrarci nella jungle tra corvi e varani per giungere alle dune di sabbia, dove si pranzerò a pochi metri dal mare, portando, due alla volta a turno, il pentolone di riso (pesantissimo).

Siamo arrivate, dopo aver percorso salite e discese tra le dune infuocate dal sole di mezzogiorno.

Si mangia!

Il riso ècompletamente freddo, ovviamente non ci sono le posate (in Sri Lanka mangiano con la mano destra) ed è tutto fottuttamente piccante: impossibile mangiarlo.

Mi rassegno quando al mio palato rovente si aggiungono i “rimproveri” perchè non riesco a mangiare con le mani tenendo indice e medio affiancati e tralasciando l’uso delle altre dita.

Inizio a smaronarmi molto, quando le mie compagne decidono di fare una passeggiata (sono le 2pm e il sole è dritto sulle nostre teste).

Dove andremo?

Vogliono sentire le mie intenzioni e io propongo di tornare a casa:

House!

Dico io.

Avranno capito?

Partiamo.

Costeggiando il mare formiamo una lunga fila omogenea e colorata di mille tonalita dai nostri lunghi abiti e dai grandi ombrelli che usiamo per ripararci dal sole.

A metà strada, stanca e incazzata per il caldo che sto soffrendo, intuisco quale sarà la meta: il “point”, dove surfano i pochi approdati ad Arugam.

Il loro stupore è grande quando vedono avvicinarsi questo sciame interminabile di ragazze dai capelli lunghi e neri, vivacemente vestite. In acqua c’è anche Emi ma non mi riconosce, e Andy ci mostra il culo nudo mentre passiamo.

Tutti guardano incuriositi il corteo finchè non ci dileguiamo dietro le rocce.

Finalmente a casa, sono stremata.

E’ stato un giorno faticosissimo, ma ora, ogni volta che tiro fuori ago e filo, sfoggio le tecniche di cucito apprese ad Arugam Bay.

Chi l’avrebbe mai detto?!